Archivio per luglio, 2013

Il Verde

Pubblicato: luglio 31, 2013 in Uncategorized

Un bollente raggio di sole del solstizio d’Estate mi ha catapultato l’ultima fatica dell’amico Manlio con questa dedica :

“A Tudy che ha fatto di questo colore una passione unica”

…naturalmente ne sono rimasta immagata!  

“Non solo un colore. Il verde, chiaro segnale di vita libera, è diventato l’orizzonte sterminato di una speranza senza confini, che occupa tempo e spazio di un immaginario – tanto individuale quanto universale – “secolo verde”.

Questo trafiletto ti spinge a divorare le parole del libro come avrebbero fatto i miei cannibali che in quel di Ruobero lavoravano il mio caffè Blu Montain Kenia, i cui semi ho contrabbandato ben due volte per la semplice ragione che la prima volta i signori elefanti sono riusciti a divorare le piantine malgrado tutti i miei sforzi per salvarle. Erano cresciute a 70 cm di distanza l’una dall’altra, giusto lo spazio per gli elefanti che se le gustavano sradicandole con la proboscide. L’unico risultato era vederli sventolare le orecchie come eliche e sentirli sbuffare, evidente segno che non gradivano le mie interferenze. Per salvarmi ho dovuto mettere a disposizione il terreno tutto attorno al dosso d’asino ai miei cannibali che lavoravano nella piantagione, in modo che gli elefanti si saziassero della loro manioca invece che delle mie piantine. Ciò mi è tornato di colpo alla memoria sfogliando “Verde. Storie di un colore”.

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Foto tratta da “La mia Terra. Ricordi tra sogno e realtà”

Il verde è sempre stato protagonista nella mia vita. Scrive Manlio nel primo capitolo, Il Grande Verde:

“Ma il verde sia della campagna sia delle città è sempre minacciato e sempre redento, almeno nella volontà di ricrearlo, di riproporlo come l’antico Eden, perduto e ritrovato”.

Tanti sono gli autori citati che seguono lo sviluppo della storia del verde, come nel “Il libro de l’arte” (XV secolo) di Cennino Cennini che è la grammatica del colore, primo trattato in volgare sull’arte della pittura.

E in fine la “casa verde”:

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Il Cabanon a Cap Martin.

“fatta di tronchi, con il tetto di legno, contornata di verde, non è verde di per sé. Soltanto quando il tetto è conquistato dal muschio e dall’erba, su un pendio dove ci possono pascolare le capre, diventa una casa abbandonata, oppure l’ultima casa del villaggio occupata da un eremita o da una strega. La casa nel bosco esiste ma è quasi sempre più incontrata che abitata, a un passo dall’abbandono e dalla trascuranza: una dimora filosofica, come la stamberga di Socrate o la cisterna di Diogene. Eppure c’è una casa che si fa strada a fatica nel pensiero e si incontra un certo momento per diventare sempre più la casa della vita. Nel caso di un filosofo e di un architetto oltraggiosamente famosi (Heidegger e Le Corbusier), la capanna di Todtnauberg, prossima a una torbiera, è la prim(itiv)a casa dell’essere, di fronte al Mediterraneo, è –come è capitato- l’ultima cas(s)a.”

 

Cito ancora, perché le sue parole sono troppo belle:

“L’itinerario nel verde che qui si propone è necessariamente saltellante come una inquieta e vorace cavalletta, tra divinità e paradisi verdi, cavalieri e fate verdi, pietre, terre e case verdi, riportando le diverse storie a una loro matrice originaria, e cercando di approdare a quel territorio verde, sostenibile o insostenibile che sia, di una speranza ancora verde che ha il colore intermittente delle lucciole nel bosco”.

Penso a tutto questo quando annaffio e “remeno” la terra nel mio magico giardino esterno che è diventato una propaggine essenziale della mia casa.

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Il mio giardino esterno visto da Cesare Gerolimetto. 

Di Manlio Brusatin mi hanno di volta in volta affascinato e indottrinato:

Arte della meraviglia (Einaudi, 1986): “Stupori, oracoli, miracoli, arche, diluvi, macchine, arsenali, pantografi, specchi, automi, cifre e segreti: un viaggio nella galassia della meraviglia”

“Storia delle immagini” (Einaudi, 1989): “…Le descrizioni figurate, le immagini immobili e sospese, l’immagine rispecchiata e l’immagine di sé, gli effetti e le metafore delle immagini, l’identità e la somiglianza fisiognomica, il ritratto riprodotto e riconoscibile, la copia, la duplicazione, la moltiplicazione….”

“Colore senza nome” (Marsilio, 2006): “Umanamente e anche matematicamente i colori sono oggettivamente e soggettivamente infiniti come sono i numeri e ci sono possibilmente anche colori mai visti e impronunciabili”

 

MANLIO BRUSATIN

“Verde. Storie di un colore”

Marsilio, 2013

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San Lorenzo e Ennio Concina

Pubblicato: luglio 5, 2013 in Uncategorized

San lorenzo

Ho conosciuto Ennio nel 1984 in un modo molto singolare. Avevo già letto i suoi libri, mi aveva aperto gli occhi sulla continuità architettonica di Venezia. Scriveva nel suo “Storia dell’Architettura di Venezia”:

“…al contrario di ogni altra, Venezia è entità urbana non generata dalla terra, né sorta su questa. E neppure, a dispetto dell’evidenza visiva e di affermazioni leggere, è città o isola arcipelago: Venezia non è un isola poiché le case edificate nel mare solo impropriamente sono definibili isole e Venezia, appunto, è fondata in alveo maris, s’innalza direttamente dai fondali marini, unico e irripetibile esempio nella storia”.

Nave Piano

Mi trovavo nella chiesa di San Lorenzo dove Ennio faceva alcune ricerche. Piano, Abbado e Nono preparavano il Prometeo, lavoro corale di Nono che doveva essere eseguito dentro una struttura a forma di nave, all’interno della chiesa. Ho seguito con ironica trepidazione tutto l’iter della costruzione, ma come si può immaginare un edificio a Venezia con misure precise, angoli retti e muri non sghimbesci? Il lavoro di Piano e della sua équipe, a segare, rabberciare e rimettere insieme tutta la struttura per infilarla finalmente nel suo contenitore, era così bello proprio per le sue forme anomale.

Struttura Piano

Ricordo poi la piattaforma su cui doveva esibirsi il corpo di ballo che cantava per conto suo, facendo imbestialire Gigi Nono e immelanconire il Maestro Abbado…
Mi sono portata Abbado alla Corte Sconta, dove sulle tovagliette di carta ho pensato di far danzare i ballerini sulle scalette laterali, coperte di moquette, e far sedere il pubblico sul ponte della nave. Ero stata io a far coprire le scalette con i tappetini perché qualche giorno prima, mentre osservavo dall’impalcatura i lavori sono scivolata e proprio Ennio mi ha salvato la vita prendendomi per i piedi. E’ stata una fatica immane riuscire a impedire che gli architetti mi coprissero i mosaici del pavimento. Dopo questo primo incontro io e Ennio siamo diventati amici, proprio per essere riusciti a salvare sia il pozzo che i fantastici mosaici dell’antico pavimento.

Pavimento di San Lorenzo. Foto di Gabriele Crozzoli tratta da Pavimenti a Venezia di Tudy Sammartini, Vianello 1999.

Pavimento di San Lorenzo. Foto di Gabriele Crozzoli tratta da Pavimenti a Venezia di Tudy Sammartini, Vianello 1999.

“La cultura”, amava ripetere, “è ritrovare nei luoghi i frammenti di conoscenze che sono nella tua testa”.

Con Ennio se ne va uno degli ultimi grandi umanisti dei nostri tempi, una delle persone più preparate sul problema di Venezia.

Ennio Concina insegnava Storia dell’Arte Bizantina a Ca’Foscari; è stato autore di numerosi studi di storia dell’architettura e della città tra medioevo e rinascimento. Tra i suoi volumi: L’arsenale della Repubblica di Venezia; Pietre, parole, storia; Venezia nell’età moderna; Navis, l’umanesimo sul mare; Dell’arabico. A Venezia tra Rinascimento e oriente; Storia dell’architettura di Venezia dal VII al XX secolo; Fondaci. Architettura, arte e mercatura tra Levante, Venezia e Allemagna.

Una gentildonna irrequieta

Pubblicato: luglio 3, 2013 in Uncategorized
teatro sabbioneta

Il primo ricordo che ho di Sabbioneta è il teatro rigurgitante di fieno, mentre nella magica piazza i contadini depositavano raccolti e utensili negli splendidi edifici. Devo a Ugo di avermi fatto scoprire l’importanza non solo di Mantova ma di tutto il suo territorio, soprattutto nel Rinascimento.

Fino allora avevo considerato Urbino e Pienza le città ideali di quel magico periodo. Sabbioneta, rimasta intatta, lo è ancora oggi.

Sabbioneta

Tutto questo è riapparso indelebile davanti ai miei occhi, quando a carnevale, il vociare sguaiato di alcuni ubriachi venuti fuori alle quattro di mattina dai capannoni della marittima usati come balere, mi ha svegliato: sono uscita brandendo la solita fiocina con cui vado a pescare facendoli scappare. Il profumo delle rose e dei gelsomini del mio giardino esterno, in fiore tutto l’anno, non riusciva ad attenuare il loro tanfo, mentre il campo era diventato un porcile e i fiori  giacevano massacrati. Neanche le acuminate spine erano riuscite a salvarli… Non potendo riaddormentarmi ho acceso la televisione e sono arrivata a Sabionetta, ricevuta da Vespasiano Gonzaga e i suoi fratelli immortalati sui loro destrieri nella sala terrena del palazzo ducale.

Sabbioneta_Corridor_Grande1

Mi hanno invitato ad ammirare i loro tesori (oggi custoditi in parte nel museo del Vescovado di Mantova) nella galleria che limita la piazza sulla sinistra, dove si trova la serie di affreschi scanditi dalla luce delle finestre. Ovunque troneggiava il labirinto, loro simbolo e porta fortuna.

sabbioneta-cornice

Mentre ero lì mi sento chiamare dai guardiani che raggiungo nella sagrestia della cappella al piano terra del palazzo dove in un angolo c’era una palla di papiro con dentro un mucchietto di ossa consumate di un uomo rachitico su cui riposava il Toson d’oro: Vespasiano I Gonzaga Colonna, ideatore e fondatore della città ideale di Sabbioneta, mitico condottiero di Filippo II di Spagna, fraterno amico e fidato consigliere, che per lui aveva conquistato mezza Europa e parte del Marocco.

Vespasiano I Gonzaga Colonna

Orfano del padre e abbandonato dalla madre, Vespasiano venne amorevolmente allevato dalla zia, Giulia Gonzaga che si prenderà cura di “questo figliolo qual se attenderà a nutrircelo servitore per la affectione del infelice patre et de tutti noi altri che restamo sotto la medesima devotione et protectione”.

Nel suo libro “Una gentildonna irrequieta: Giulia Gonzaga fra reti familiari e relazioni eterodosse” Susanna Peyronel Rambaldi descrive la Gonzaga quale coraggiosa esponente di un movimento riformatore all’interno della Chiesa della Controriforma, una donna profondamente legata al suo potente casato e protagonista di un dissenso intellettuale che sarà poi represso.

Giulia Gonzaga nasce nel 1513 e, appena tredicenne, sposa Vespasiano Colonna, già vedovo di Beatrice Appiani dalla quale aveva avuto la figlia Isabella. Dopo soli due anni rimane vedova divenendo erede del marito a condizione di non risposarsi, nel qual caso il patrimonio sarebbe andato tutto a Isabella. Grazie al matrimonio tra Luigi Gonzaga e Isabella, che darà alla luce a Vespasiano I Gonzaga Colonna, Giulia riesce a proteggere e a incrementare i suoi feudi.

Sebastiano del Piombo-Giulia Gonzaga-Mantova, Museo del Palazzo Ducale

Stabilitasi a Fondi, Giulia crea un vivace circolo intellettuale, animato da personaggi come Vittoria Colonna, Sebastiano del Piombo e Juan de Valdés, scrittore spagnolo residente a Napoli in odore di eresia. Nel 1534 la città di Fondi è attaccata dal corsaro Barbarossa che cerca di rapire la nobildonna per consegnarla in dono al Sultano Solimano I il magnifico. Riuscita a sfuggire al rapimento con una fuga avventurosa a cavallo compiuta in abiti discinti a Capodimonte, il Barbarossa saccheggia la cittadina e la vicina Sperlonga.

“La bellissima Signora donna Giulia de Gonzaga godette di fama straordinaria, fu cantata dai poeti, fu al centro di miti e leggende, vagheggiata come protagonista romantica di amori insoddisfatti o oggetto di bramosie che si estendevano persino al di là dei mari”.

 copertina

Susanna Peyronel Rambaldi insegna Storia moderna all’Università degli studi di Milano. Si è occupata prevalentemente di storia politico-religiosa cinquecentesca, della storia dell’Inquisizione in Italia e, più recentemente, dell’attività politica e religiosa di alcune gentildonne appartenenti a grandi famiglie delle corti italiane.

Susanna Peyronel Rambaldi “Una gentildonna irrequieta: Giulia Gonzaga fra reti familiari e relazioni eterodosse”

Viella 2012