Il giardino di Virginia Woolf

Pubblicato: Maggio 2, 2016 in Uncategorized

 

arton67945Leggendo “La Stampa” dello scorso 20 marzo mi sono ricordata del primo incontro con Paolo Pejrone, quando ho portato i miei amici giardinieri veneziani a trovare Ursula Salghetti Drioli Piacenza nel suo giardino a Ventimiglia, dove lo stesso Pejrone aveva lavorato. Ne “La Stampa”, Pejrone scrive la recensione di un libro che mi è subito venuto voglia di possedere: si tratta di Il Giardino di Virginia Woolf, scritto da Caroline Zoob ed edito da L’Ippocampo.

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Scrive Pejrone:

… è davvero un libro che merita di essere letto. Tutto d’un fiato. E non solo per il giardino che descrive, quello di Monk’s House, l’amatissimo giardino di Virginia e soprattutto di Leonard Wolf, nel Sussex, certamente uno dei luoghi più intimamente legati alla loro vita e alle loro opere e su cui finora era stato scritto inspiegabilmente pochissimo. E’ un libro che colpisce non solo per ciò che racconta ma anche per come sa farlo, è un esempio di come un buon libro sui giardini potrebbe (e dovrebbe) essere scritto”.

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Le parole di Pejrone mi hanno fatto rivivere l’emozione di quando ci sono andata con un’amica inglese; come in un sogno, si è realizzata la vista del giardino che si era illanguidita nel tempo.

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Mi meraviglio che questo libro non sia stato pubblicato prima, per me il giardino di Virginia Woolf è la chiave di ingresso  tutti i giardini!

La prefazione del volume de L’Ippocampo ospita i ricordi di Cecil Woolf, figlio di uno dei fratelli di Leonard, che ebbe molte occasioni di trascorrere nel giardino periodi di vacanza:

Leonard e Virginia non avevano figli; i loro figli erano i libri e quel giardino (…) Dal terreno incolto dietro la casa comprata una ventina di anni prima i Woolf avevano creato un mosaico spettacolare di fiori coloratissimi: cinerarie variopinte, enormi gigli bianchi e arancioni fiammanti, dalie, garofani e un esplosione di Kniphofia che si mescolavano agli ortaggi, ai cespugli di uva spina, ai peri, ai meli, ai fichi. Nel prato erano sparse alcune vasche con i pesci rossi. Oltre al giardino e al frutteto c’erano le arnie e le serre in cui Leonard teneva un’ampia collezione di cactus e piante grasse”.

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La documentazione del libro è davvero interessante: le fotografie dei luoghi come sono oggi si affiancano a foto d’epoca che ritraggono i vecchi proprietari nel loro spazio verde;

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disegni e bozzetti illustrano le diverse aree, le piantumazioni.

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Vi si trovano anche molte belle citazioni:

In certi momenti questo posto è di un bello divino: caldo, uccelli, narcisi, cielo azzurro” (Virginia Woolf)

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Questo libro ci presenta l’immagine ideale del giardino e come dovrebbero essere tutti i nostri spazi verdi, che spesso perdono pezzi da tutte le parti!

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Il Giardino di Virginia Woolf

Caroline Zoob

Edizioni L’Ippocampo,

Milano 2014

 

Salvatore Ferragamo

Pubblicato: aprile 26, 2016 in Uncategorized

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Le mie scarpe create da Ferragamo per mia madre, ne avevo una strage, ho vissuto di rendita per secoli ma purtroppo queste sono le ultime rimaste.

Quelle indossate da mia madre il giorno del suo matrimonio a Villa Macchiavelli a Maiano, erano bianche, le ho tinte di nero e le adopero nelle grandi occasioni; per fortuna sono una salacca e i piedi sono quelli di sempre! Per quanto spelacchiate fanno sempre la loro bella figura e risolvono tutti i problemi del caso.

Jane Vail Hollister e Giuseppe Sammartini

Nella foto ricordo del giorno del matrimonio a Villa Macchiavelli a Maiano le scarpe magiche sono nascoste dal velo ma proteggono i suoi piedi, entrambi i miei genitori hanno l’aria felice. Questi oggetti per me magici risuscitano un mondo scomparso di bambina felice. Quando me le infilo ritorno in quel mondo magico.

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A Santa Barbara, in California, appena fuori del cancello della nostra proprietà, lavorava un ciabattino che non solo aggiustava le scarpe, ma anche le faceva per tutti i membri della famiglia. Erano veramente delle opere d’arte, nessuna delle mie scarpe di oggi produce effetti così strabilianti. Il ciabattino era Salvatore Ferragamo, che si era trasferito da Bonito agli Stati Uniti nel 1914, raggiungendo prima il fratello a Boston e poi Santa Barbara.

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Nel 1923 si sposta a Hollywood guadagnandosi in poco tempo il nome di “Calzolaio delle stelle”. Il successo di Ferragamo continua imperterrito ancora oggi, superando i fasti degli anni ’20; col passare del tempo il nome si è ingigantito divenendo uno status simbol; dalla morte di Ferragamo, nel 1960, l’eredità del fondatore viene portata avanti dalla moglie Wanda e dai suoi figli: Fiamma, Giovanna, Ferruccio, Leonardo e Massimo.

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Ferragamo.com

Acqua Morta di Michele Catozzi

Pubblicato: marzo 23, 2016 in Uncategorized

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Acqua Morta, di Michele Catozzi, è un libro singolare, intrigante, bello, pulito senza fronzoli, un gioiello che si apre poco alla volta. L’autore inserisce una storia estremamente complicata in una dimensione normale, di tutti i giorni: sembra scontato e semplice, scritto con un linguaggio familiare e tranquillo che rivela invece un mondo surreale, pieno di problemi. La storia inizia con una giovane coppia che si apparta su una panchina nei giardini della Biennale: il ragazzo rimane ucciso, la fidanzata traumatizzata impazzisce, non ricordando nulla e la polizia non può fare altro che chiudere il caso.

Il prologo comincia con questa frase:

L’autunno a Venezia è diverso. Diverso perché le brume adriatiche si sfilacciano nelle acque opache della laguna e la pioggia minuta si mischia con la caligine che pare sorgere dalla schiuma. Per i due ragazzi la tragedia diventa un inseparabile alleato” (in quanto protegge il loro segreto).

L’anno dopo, dall’acqua emerge un cadavere irriconoscibile, quasi un mostro marino. Il Commissario Aldani, incaricato delle indagini, riconosce i segni dell’omicidio; il protagonista è una vecchia conoscenza negli scritti di Catozzi: il commissario Nicola Aldani appare per la prima volta in un racconto che viene segnalato al premio Gran Giallo Città di Cattolica nel 2000. Da quell’anno il commissario e le sue gesta popolano ben altri sette racconti dell’autore, di cui tre pubblicati. Edito da TEA, Acqua Morta ha vinto il concorso 2014 IoScrittore conquistando il massimo dei voti.

Ho conosciuto l’autore solo tramite scambi di mail ma grazie a questo libro mi sembra di conoscerlo da sempre. Nato a Mestre, Michele Catozzi ha vissuto molti anni in Veneto dove si è occupato di editoria e giornalismo, scrivendo racconti e pubblicando il suo primo libro, Il mistero dell’isola di Candia, ambientato tra la Venezia del 1600 e l’isola di Candia dove fervono i preparativi nell’imminenza di un attacco turco.

Oltre alla passione per la scrittura, ci accomuna l’amore per la nostra città che emerge spesso negli articoli pubblicati a riguardo nel suo sito web – michelecatozzi.it, come l’ultimo che ho potuto leggere: “Laguna di Venezia sito più a rischio d’Europa”.

Michele mi ha scritto la prima volta dopo aver visto il documentario di Andreas Pichler “Teorema Venezia”. Nel suo blog ha recensito il “doloroso documentario della rassegnazione” descrivendomi con parole davvero generose:

Tudy Sammartini è per noi tutti uno spiraglio di luce nel cupo futuro di Venezia, un’esile speranza che si staglia indomita sul grigiore della rassegnazione a ricordarci che il nostro destino non può essere lasciato in balia della stupidità umana”.

Un elogio che senz’altro non merito, ho solo constatato fatti che si ripetono in continuazione! Ho quasi novant’anni e mi ricordo quando a 14 anni sono arrivata a Venezia dalla campagna e sono stata ammaliata dal fascino di questa città che purtroppo nel tempo ha perso il suo glamour: la distrazione dell’amministrazione locale e l’invasione barica del turismo di massa hanno contribuito a degradarla in modo così violento da non riconoscere più la Venezia che ha affascinato la mia giovinezza.

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Michele Catozzi

Acqua Morta

TEA, 2015

Dino Buzzati

Pubblicato: febbraio 22, 2016 in Uncategorized

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Facendo ordine fra i miei libri è sbucato all’improvviso Le Montagne di Vetro di Dino Buzzati che ha spalancato un piacevole squarcio su tempi molto lontani. Riappare ai miei occhi La famosa invasione degli orsi in Sicilia, regalatami quando avevo 12 anni, poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale. Era un dolce autunno, il tempo era così bello che eravamo ancora nella villa di Orzes, ritardando di giorno in giorno il ritorno a Venezia… Il cortile a quei tempi era ancora un ottimo campo da tennis e tutti venivano a giocare, in particolare Dino Buzzati, oltre che amico, lontano parente. Proprio allora usciva a puntate sul Corriere dei Piccoli La famosa invasione degli orsi in Sicilia; ne avevo letto qualche stralcio ma a pezzetti.

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Con Dino andavo molto d’accordo, facevamo imprevedibili arrampicate lungo il Cordevole, nella Valle delle Maranteghe e dietro l’abbazia di Vedana e sulle sgremene del Peron, che copriva la visuale delle Alpi.

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Ci divertivamo molto, io sempre qualche passo più avanti, facendomi rimproverare ogni tanto: ero abituata a scarpinare. Un giorno gli ho chiesto se prima di andar via potevo avere una bozza dell’Invasione, arrivata puntualmente facendomi felice.

Scriveva Dino nelle Montagne di Vetro, nel 1953:

“Ricordiamoci che più passa il tempo e il progresso tecnico dilaga e le città crescono e la vita è tiranneggiata dalla macchina, tanto più gli uomini sentono il bisogno disperato di fuggire, rifugiandosi nella superstite natura. La solitudine, i posti senza case e senza strade, i boschi, le montagne diventeranno cose preziosissime, più preziose che i filoni d’oro. Qui in Italia, a giudicare dagli umori generali, alla saturazione non si è giunti pare, ma è fatale che ci si arriverà. E quel giorno si farà qualsiasi sacrificio pur di trovare un eremo. Ma sarà rimasto allora un posto simile?”.

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Tenevo moltissimo a quel libro, me lo sono portata dietro da per tutto, persino in Africa dove, durante i “matata”, è purtroppo andato in fiamme con il resto delle mie cose…

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Morire non è niente

Pubblicato: febbraio 19, 2016 in Uncategorized

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Questo libro mi è stato regalato dalla mia vicina, l’autrice Elisabetta Baldisserotto. E’ un romanzo che parla della vita del mio feudo, sia delle persone che dei luoghi, in un modo talmente piacevole che sembra di chiacchierare con lei. Elisabetta ci racconta del commissario di polizia Jacopo Zambon, alle prese con l’omicidio di un amico – Alvise “el beo” – e l’abbandono della moglie. L’intrigo, che include misteriosi documenti immobiliari, porta il commissario a conoscere gli aspetti più segreti dell’amico ucciso. L’indagine è però anche un percorso di maturazione del personaggio principale, che risolverà i suoi problemi incontrando una persona.

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Tutto si svolge tra le calli di una Venezia ancora incontaminata e le tante espressioni dialettali contribuiscono a descrivere un ambiente che ricorda la mia salizada e i suoi abitanti:

“Scorse invece il gatto soriano, che ogni tanto veniva a trovarlo passando attraverso i tetti, che lo guardava dietro i vetri in paziente attesa. Jacopo prese la bottiglia di latte dal frigo, ne versò un po’ in una ciotola e aprì la finestra. Il vecchio pirata, come l’aveva soprannominato a causa dell’occhio guercio, balzò dentro tenendo la coda alta e andò a lappare con voracità la sua colazione. Jacopo prese a parlargli in tono cameratesco: “Seco candio te xe, vecio mio, i vicini non ti danno da mangiare, eh?”, mentre attingeva dalla scorta di croccantini per riempire di nuovo la ciotola. Il vecchio pirata si strusciò contro le sue caviglie facendo le fusa”.

Come non pensare al mio gatto Biagio?

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L’autrice rende esattamente la vita giornaliera di questo angolo di Venezia che è rimasto antico; per fortuna noi qui amiamo i fiori e anche grazie all’aiuto e alla simpatia dei miei il mio giardino esterno, che ho creato, è bellissimo. Come me, anche Elisabetta ama la nostra città. Questo profondo affetto rivive e si riversa nelle pagine del libro:

“Venezia lo tratteneva, lo avviluppava, non avrebbe potuto vivere in nessun altro posto. Venezia, sebbene si prostituisse al turismo di massa fino a perdere la connotazione di città, sebbene fosse un covo di pirati che accumulano oro depredando i foresti, restava per lui un luogo dell’anima”.

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Elisabetta Baldisserotto è psicologa analista junghiana, vive e lavora a Venezia. I suoi articoli e racconti sono presenti in riviste e antologie. Morire non è niente è il suo primo romanzo.

Le fotografie di questo articolo sono state scattate da Cesare Gerolimeto.

 

Elisabetta Baldisserotto

Morire non è niente

Cooperativa Libraria Editrice Università di Padova, 2015

Flower Forever

Pubblicato: febbraio 16, 2016 in Uncategorized

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Flower Forever is a project dedicated to the craft, including a beautiful book -“Flower Forever. Bead Craft from France and Venice” – an exhibition and lectures on beaded flowers by Ragnar Levi and Edvard Koinberg. Mr Levi saw in Murano’s Glass Museum a brunch of glass flowers made by my aunt, Nella Lopez y Royo who brought back the tradition of these flowers.

Levi asked me to write in the book the story of my aunt:

“Both my paternal aunts had artistic talent; while aunt Marta became a fine sculptor who won the Biennale in 1935 with her Medusa in marble, her sister Nella was skilful with her nimble fingers – even as a very young woman she was an accomplished embroideries. After the first world was, Nella visited the glass makers in Venice with her father and for the first time discovered the bead factories of Murano, the Conterie. I know that as a child she had been gently impressed by the glass treasures of Murano, but it was not until her old age, when, aided by her faithful servant Marina, she began to devote herself to the revival of the bead handicraft. It was of course also thanks to the fact that her companion Maria Paleologo knew many IMPIRARESSE. These woman strung long strands of beads of various hues, and I remember aunt Nella having numerous strings hanging on racks. She later used same strings of beads to fashion flowers in all colours of the rainbow, with the help of marvellous imagination – tulips, daffodils, bluebells… Aunt Nella’s flowers brightened shop windows and adorned dining tables. Her Fiori di Neve, Rose d’oro and d’argento are reminiscent of the Madonna Nicopeia in St Mark’s. Nella’s enchanting flora is still talked about, a wonderful and beautiful memento of her and the blooms she so adored”.

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Photo(C) Edvard Koinberg from the book “Flower Forever”, Ragnar Levi

The book “Flower Forever. Bead Craft from France and Venice” starts with a picture of a precious linen panel with a motto: “Remembrance is the sweetest flower that in a garden grows”; it represents a fountain in a circle with two bushes of flowers each side, framed by a glass border in several colours.

The author says right that the history of glass goes “back to Egypt and Mesopotamia, the land in the Northern Syria between two rivers Tigris and the Euphrates”. The beads it’s an old tradition in Murano’s glass making and you can find it all over the world: in the masks of Alice Springs’s Aborigines and in the necklace of African women. The beads were considered as precious secret jewels. “We press, dry and depict flowers as a ways of preserving and remembering”.

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Photo(C) Edvard Koinberg from the book “Flower Forever”, Ragnar Levi

Ragnar Levi is a Swedish author, award‐winning science journalist and a long‐time collector of beaded flowers from Italy and France. With a background in medicine and a sensitive eye for the fragility and transient nature of the human body, Mr. Levi took an interest in this delicate and elaborate handicraft where flowers are immortalized as memorial objects.

http://blommaforalltid.wordpress.com

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Photo(C) Edvard Koinberg from the book “Flower Forever”, Ragnar Levi

How to buy the book:

  1. European and other non-US customers

One of the leading Swedish web book stores http://www.bokus.com sells the English Edition of the book, shipping to all countries listed below*.

How to order through Bokus.com:http://www.bokus.com/english

 

* Australia, Austria, Belgium, Canada, Cyprus, Czech Republic, Estonia, Faroe Islands, Finland (incl. Åland), France, Germany, Greece, Hungary, Iceland, Ireland, Italy, Japan , Latvia,  Lithuania, Luxembourg, Malta, Monaco, Netherlands, New Zealand, Norway, Poland, Portugal, Slovakia, Slovenia, South Korea, Spain (incl. Canary Islands), Sweden, Switzerland, United Kingdom

 

  1. US customers:

Please use Google translate at the publisher’s website: http://bokshop.langenskiolds.se/se/flower-forever or

e-mail directly to: info@langenskiolds.se

The price quoted there excludes shipping. According to the publisher the book should be shipped in one week. Please direct any questions about shipping and payment directly to the publisher.

 

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Photo(C) Edvard Koinberg from the book “Flower Forever”, Ragnar Levi

If you are interested in bead flowers, see also: “Fiori di Perle a Venezia” by Nella Lopez y Royo Sammartini, Lina Urban, Tudy Sammartini, Doretta Davanzo Poli, Margherita Minguzzi – Centro Internazionale della Grafica di Venezia, 1992.

I cinquecento anni del Ghetto di Venezia

Pubblicato: febbraio 10, 2016 in Uncategorized

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Il 29 marzo del 1516 i Veneziani inventano il ghetto per “organizzare” la presenza ebraica a Venezia. Con un decreto, si stabilì che gli ebrei dovessero abitare tutti in una sola zona della città, un luogo malsano, come testimonia il suo nome che deriva dal “getto” dei metalli delle numerose fonderie presenti. Grazie ai canali che la circondavano completamente, e alle guardie che la proteggevano in continuazione, la zona era una cassaforte della città. La vita al Ghetto era scandita dal suono del campanile di San Marco che ogni mattina e sera segnalava l’apertura e la chiusura delle sue porte.

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Gli ebrei erano il motore del commercio veneziano ed erano arrivati in città verso gli inizi del XI secolo; erano di tante origini e ognuno di loro aveva la propria sinagoga. Le sinagoghe del ghetto vennero fatte costruire tra la prima metà del XVI secolo e la metà del XVII; l’Italiana è tra le più antiche, assieme a quella Tedesca, alla Levantina e Spagnola.

Anche le sinagoghe appartengono al sistema delle Scuole: luoghi di riunione e preghiera, le sinagoghe oggi sono cinque. In osservanza della legge ebraica, che impone la costruzione dei luoghi di culto “nella parte più alta della città”, nella pianeggiante Venezia le sinagoghe sono dislocate ai piani alti di anonimi edifici del Ghetto, riconoscibili per i semplici portali ad arco e le grandi aperture formate da cinque finestre – e collegate tra loro, per esigenze di sicurezza, da lunghi corridoi e passaggi”.

(Pavimenti a Venezia di Tudy Sammartini con foto di Gabriele Crozzoli)

Per anni con il mio Professore John McAndrew abbiamo studiato le diverse sinagoghe, ciascuna dedicata al culto degli ebrei provenienti dai vari paesi, soprattutto levantini. Al tempo siamo riusciti a restaurarne alcune e mi ricordo ancora l’incubo delle ripide scale per arrivarci! La sinagoga che mi ha suggestionato maggiormente è la Tedesca, allestita nel 1529; grazie alla luce che entra dai finestroni, sistemati in un modo particolare, l’illuminazione cambia continuamente dando l’impressione di un vortice che ti travolge. L’impianto della sinagoga viene trasformato verso la fine del XVIII secolo a causa di alcuni problemi statici: il pulpito, una volta al centro, è stato spostato in posizione opposta per non sollecitare troppo il pavimento.

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Il museo ebraico raccoglie una collezione di argenti unica al mondo che rappresenta le diverse origini degli ebrei veneziani. La sala degli argenti descrive le festività e le tradizioni del culto ebraico attraverso oggetti e arredi usati sia nelle liturgie che nella vita quotidiana. Con la Seconda Guerra mondiale i preziosi argenti sono stati tutti incartati in degli stracci e nascosti nella casa di riposo del Ghetto, dove nessuno osava andare a disturbare. Con la mia amica Luzzato, moglie di Amos, Presidente della Comunità Ebraica di Venezia, li abbiamo fatti restaurare e ce ne siamo presi cura ripulendoli, fino all’invenzione di una vernice speciale per proteggerli. Passavamo ore a pulirli mentre lei mi spiegava le varie funzioni degli oggetti.

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Per festeggiare i ‘500 anni, la comunità ebraica pensa a un restauro e alla rimessa a nuovo del museo e di tre sinagoghe, grazie a una raccolta fondi realizzata dalla Venetian Heritage Council, parte del programma Unesco-Comitati Privati per la Salvaguardia di Venezia.

Tra le tante iniziative: l’Associazione Veneziana Albergatori ha realizzato dei pacchetti che offrono la possibilità di vivere il Ghetto in tutte le sue sfaccettature, dalla storia alla cucina, dalla religione alla storia dell’arte, all’arte della tradizione. Per ricordare il Giorno della Memoria è stata anche presentata la mappa interattiva dei luoghi della memoria realizzata da Giulio Bobbo, Marco Borghi e Sandra Savogni.

Venezia era il centro del mondo e anche grazie agli ebrei è diventata quello che è.

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La Bottega dei Mascareri

Pubblicato: febbraio 9, 2016 in Uncategorized

La Bottega dei Mascareri si trova a San Polo 80, ai piedi del Ponte di Rialto, vicino alla chiesa di San Giacometto, dove una volta c’erano le botteghe di cambio. È gestita da Massimo e Sergio Boldrin, due fratelli figli di un gondoliere che dipingevano maschere fin da bambini. Il desiderio di recuperare la tradizione delle maschere, sparita con l’arrivo di Napoleone, li porta ad aprire questo laboratorio: qui fanno maschere in cartapesta costruite a partire da sculture in argilla, da un calco in gesso ed in fine dall’aggiunta di carta particolare e una colla speciale. Le maschere vengono poi tagliate e dipinte con le varie tecniche: acquerello, pittura ad olio, acrilico. Massimo è il marito della mia cara amica Rita Perinello; le loro opere vengono usate in teatro, nella moda e nei film; nella loro collezione troviamo le classiche maschere della Commedia dell’Arte come Pantalone, Zanni, Arlecchini equelle quelle tradizionali del Settecento veneziano: le Baute, le Morete… La storia della maschera veneziana inizia nel 1268, l’anno della più antica legge che ne limita l’uso improprio: in questo documento era proibito agli uomini in maschera, i cosiddetti mattaccini, il gioco delle “ova” che consisteva nel lanciare uova riempite di acqua di rose contro le dame che passeggiavano nelle calli.

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Cesare lo conosco da sempre, fin dai tempi dell’esaurito e quasi dimenticato Le isole della laguna, un universo inesplorato (1988). Da allora siamo diventati amici facendo un sacco di cose e le sue fotografie hanno reso stupefacente il nuovo libro sui giardini di Venezia, Verde Venezia, pubblicato nel 2012 per Terraferma. Durante la lavorazione del libro, Cesare era terrorizzato e si tirava in là per paura che una secchiata di acqua gelida annaffiasse la sua macchiana fotografica quando suonavo tutti i campanelli se vedevo spuntare frasche dai muri di cinta… Con sua grande meraviglia le porte si aprivano come per magia.

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Terraferma ha pubblicato da qualche tempo anche “Veneto. Terre e paesaggi del vino”.

Cito le parole di Giorgio Cecchetti da un articolo apparso su La Nuova il 12 luglio 2015:

“Sono soprattutto le fotografie di Cesare Gerolimetto a colpire e ammaliare: viti verdissime in primavera; rosse in autunno; bianche sotto la neve; filari infiniti sulle colline o in riva ai laghi; attorno ai castelli merlati o distesi accanto alle ville palladiane; poi uva, bianca, scura, rosata da gustare, dipinta da Tiziano, Veronese, Mantegna”.

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Il libro, a cura di Gianni Moriani e Diego Tomasi, nasce “dall’esigenza di legare l’immagine del vino al suo territorio (…) perché un buon vino ha bisogno di luoghi in cui identificarsi, essendo il suo valore legato alla qualità dei territori e di conseguenza del paesaggio”. Racconta la storia della vite nel Veneto da quando, 50 milioni di anni fa, nell’alta Val d’Alpone, già veniva bevuto il vino!

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Il 18 dicembre 2015, Italo Zannier ha presentato a SILOS, in Giudecca, la proiezione di uno dei più suggestivi viaggi fotografici mai realizzati: Il giro del mondo in ottanta fotografie, raccontate dallo stesso Gerolimetto. Il giro parte nel 1976 con Daniele Pellegrini, fotografo e giornalista, a bordo di un Iveco 75 PC 4×4 battezzato Antonio Pigafetta. Dopo due anni, i due amici percorrono i cinque continenti per un totale di 184000 km riportando un’infinità di bellissime immagini.

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Altra novità editoriale di Cesare è Venezia Inaspettata, un libro a fisarmonica pubblicato da Antiga. La mia copia è un unicum: è impaginata alla rovescia e ha una bellissima dedica:

“Un libro strano e questo ancora più strano. Con tanto affetto per la mia amica Tudy”.

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Dal sito di Cesare Gerolimetto – cesaregerolimetto.com

Di questo libro mi hanno colpito due immagini in particolare: Venezia vista attraverso le gambe della scultura di Charles Ray a Punta della Dogana, con una luce così diversa… una Venezia di sogno! La seconda mostra Riva delle Zattere dalla Giudecca con un gatto curioso. Le foto sono una più bella dell’altra, ma il fulcro, per me, è quella dell’oro della Basilica di San Marco.

Solo Cesare è capace di fare queste cose!

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Dal sito di Cesare Gerolimetto – cesaregerolimetto.com

I Roda, contributo per una biografia

Pubblicato: gennaio 26, 2016 in Uncategorized

La casa editrice Maestri del Giardino Editore si occupa, assieme all’omonima Associazione, della crescita e della diffusione dell’arte del giardino e del paesaggio, mettendo a disposizione la propria esperienza e competenza in tre aree principali di attività: laboratori, campus e libri.

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Ho ricevuto qualche tempo fa il piccolo e prezioso volume sui Roda di Gianfranco e Antonella Riviera con contributi di Daniele Mongera, Paolo Roda e Paolo Pejrone. Quest’ultimo scrive nell’introduzione:

Durante la seconda metà dell’Ottocento i fratelli Marcellino e Giuseppe Roda furono tra gli esperti più stimati e richiesti in materia di parchi e di giardini non solo in terra sabauda ma nell’Italia intera. (…) Era quella un’Europa estremamente “giardinata”, dominata da famiglie spesso vittime delle mode e delle loro stesse apparenze: il giardino era, infatti, una componente importante del potere, uno dei pilastri fondamentali nella “filosofia” aristocratica e sociale. (…) C’è un ultimo aspetto dell’attività di Marcellino e Giuseppe Roda, per nulla secondario, e che va ricordato: l’essersi occupati, in seguito alla loro conclamata esperienza, in prima persona, intensamente, di attività florovivaistiche e aver dato vita alle prime esposizioni di settore a Torino e in Piemonte (e in Italia)”.

Il libro raccoglie un anno di ricerche condotte da Gianfranco e Antonella Riviera tra archivi di Stato e parrocchiali, Accademie italiane e straniere, per tracciare la storia della più famosa famiglia italiana di giardinieri, che inizia nel 1661 in provincia di Cuneo, a Guarene, per giungere fino a Guido Roda, scomparso a Torino nel 1971.

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Nel corso dei secoli, sono tantissimi i progetti e i lavori della famiglia sparsi in Italia e in Europa; di questi, ho avuto la fortuna di visitarne molti ma quelli che ricordo con più piacere sono il Bosco Sacro a Virgilio (Mantova) e il Giardino di Villa Piacenza a Pollone, entrambi progettati da Giuseppe Roda.

Il bosco Virgiliano - calendario 2012 del Parco del Mincio

Intitolato a Publio Virgilio Marone, il bosco di Mantova si estende per cinque ettari e sorge negli anni Trenta per celebrare il bimillenario della nascita del poeta mantovano; vi furono piantate 500 conifere, oltre a 2900 varietà di alberi, 600 piante da frutto, 15000 arbusti e un vigneto, tutte specie citate da Virgilio nelle sue opere. Nel corso del tempo, il bel giardino all’italiana si è inselvatichito diventando magico: è la più bella oasi di verde della città.

Villa Piacenza

Villa Piacenza, famosa per i suoi rododendri, con Villa Boccanegra e il Parco Felice Piacenza alla Burcina testimonia la passione dei Piacenza per la natura. Costruita intorno al 1791 da Felice Piacenza, la villa ospita ampi tappeti erbosi con percorsi a vialetti irregolari, le diffuse specie arbustive acidofile con altre rarità disegnano un ambiente di grande cultura botanica.

Grazie a questi personaggi e alla bellezza della loro opera il volgo si è educato creando una civile battaglia alla cementificazione.

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Gianfranco Riviera, Antonella Riviera,

I Roda – Contributo per una biografia

Maestri del Giardino Editore, 2015