Il 26 agosto la Biennale celebrerà la preapertura della 71° Mostra del Cinema con la proiezione in anteprima di “Maciste l’alpino” (1916) di Luigi Maggi e Luigi Romano Borgnetto, considerato come uno tra i migliori film di propaganda bellica prodotto in Italia nel corso della Prima guerra mondiale.
Quest’anno sono cento anni dall’inizio della prima guerra mondiale. Ogni giorno tutti ne parlano e le celebrazioni sono diventate quotidiane: sono morte 35 milioni di persone, di cui più della metà vittime innocenti.
Dobbiamo proprio a questa tragedia l’unità d’Italia, per la prima volta questa mescolanza eterogenea è diventata uno stato: l’Italia Moderna.
Le manifestazioni di questi giorni hanno rispolverato ricordi assopiti di un mondo oggi scomparso, rivivo esperienze di tempi lontani che da bambina mi hanno colpito profondamente.
Si è aperta una finestra su di un passato lontano: le storie spaventose delle peripezie degli abitanti della pedemontana intrappolati nell’invasione austroungarica dopo la disfatta di Caporetto, un disastro dovuto all’incoscienza di generali tromboni ed incompetenti, esemplari di mentalità a preparazione tipicamente ottocentesca; la Carlotta mentre stirava i miei odiati grembiulini bianchi inamidati, che mi facevano sentire intrappolata nella vergine di Norimberga, mi raccontava dello stato di pericolosa indigenza degli abitanti della pedemontana.
Gli invasori avevano razziato tutto e per mangiare si spingevano sulle grave del Piave, che era diventato lo sbarramento tra i due eserciti. I soldati arruolati in gran fretta in tutta l’Italia parlavano dialetti diversi non riuscendo a capirsi tra loro mentre tra gli invasori c’erano parenti, a volte fratelli, che combattevano su fronti opposti e c’erano molti più legami fra nemici che fra alleati. Le donne di notte con le lanterne al sorgere del sole andavano a raccogliere erbe per sopravvivere mentre i soldati italiani dal Montello ne facevano tiro a segno.